Il Rifugio
Era stata un'ottima idea. Ricordando la casa semidiroccata, dispersa in un angolo di campagna, le si era presentata la soluzione. Era stato facile affittarla e poco costoso sistemare una stanza che le serviva da cucina e camera, oltre ad un piccolo bagno.
Era già passato un mese; lo sapeva con precisione; cancellava i giorni dal calendario per capire durata dell’attesa.
Le giornate trascorrevano lente, uguali. Al mattino, guardandosi allo specchio, vedeva un'immagine estranea: i capelli scoloriti, gli occhiali dalla montatura pesante la facevano apparire più vecchia.
Il viso portava gli inequivocabili segni del tumulto interiore: lunghi, profondi solchi sulla fronte, occhiaie scure, pelle arsa.
Distesa sul letto, girò lo sguardo intorno; percorse le pareti intonacate, assalite da minuscoli insetti che, inesorabili, si insinuavano dalle finestre, dalle fessure della porta. Era solita seguire i loro movimenti; si chiedeva a quale scopo o meta tendessero; poteva trascorrere ore osservandoli: un modo per liberare la mente dai detriti della paura. Il dibattersi di quelle macchioline nere costituiva la sua principale attività: rimozione dei ricordi.
Sparire nel nulla significava provocare sofferenza; eppure, fosse rimasta, ci sarebbe stato più dolore non solo per lei, ma per tutti i suoi cari.
"Bella mossa", pensò rassegnata. Un ragno aveva catturato due mosche; il loro dibattersi cessò presto: crudele; la legge della natura.
Si alzò con cautela; aprendo la porta, fu accolta dal tepore dei raggi autunnali. La sedia a dondolo era là, pronta, all'ombra di un unico arbusto sopravvissuto alla desolazione del luogo. Il dondolio la fece cadere nel torpore poi, subdola come sempre, la sentì arrivare: quella contrazione muscolare che partiva dal petto e, in pochi secondi, sferrava attacchi a tutto il corpo. Si irrigidì per non gridare; doveva svuotare la mente, ignorare quei compressori che la stritolavano.
Si concentrò sui fili d'erba calpestati e secchi, sugli operai a poche centinaia di metri intenti a costruire una nuova torre al progresso. Quegli uomini si erano incuriositi per la sua presenza.
Molti giorni prima, due di loro si erano avvicinati con una scusa; la vista di una "matura" malandata aveva demolito il loro interesse. Ora nessuno veniva a disturbarla.
Era passato! Il sangue ricominciò a circolare, la nebbia si diradò. Prese il diario e lo aprì alla stessa pagina, sempre quella con una data e le sue parole –Se te ne vai, ti cercherò e ti troverò. Non puoi sfuggirmi.-
C'era una domanda che le bombardava il cervello - "Riuscirà a trovarmi?"
Quell'isolamento le era stato suggerito, quasi imposto, dai 2 detective; era l’unico modo per poter arrestare l’uomo con il quale aveva convissuto e che lei conosceva con un nome diverso, aspetto alterato dalla barba e baffi, l’uomo che da tre anni la Polizia stava cercando per truffa aggravata e tentato omicidio della moglie.
" Sarà sorvegliata da lontano, Saremo con lei se lui si presenta e si presenterà perché lei è una testimone essenziale. Un mese o due. Lui ha i mezzi e la necessità di trovarla.”
Sembrava non ci fosse scelta e lei si era ricordata di quell’angolo sperduto.
Se non si può scegliere come vivere, si può scegliere di restare vivi.
Cominciarono le piogge. Le mancavano i suoi pomeriggi all'aperto. La stanza si fece angusta; gli insetti minacciosi e repellenti. La compressione fisica stava minando la sua resistenza. Era là da più di un mese.
In una tiepida mattina di novembre, raggiunse il suo pezzetto di verde, la sedia umida e scrostata.
Sentì il rombo di un veicolo avvicinarsi, dirigersi verso di lei. Con il cuore in tumulto estrasse la ricetrasmittente che i due “operai” le avevano dato e il piccolo revolver.
Con il dito appoggiato sul pulsante rosso, chiuse gli occhi.
Aspettò.
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