Saturday, October 29, 2022

 






Il Rifugio

Era stata un'ottima idea. Ricordando la casa semidiroccata, dispersa in un angolo di campagna, le si era presentata la soluzione. Era stato facile affittarla e poco costoso sistemare una stanza che le serviva da cucina e camera, oltre ad un piccolo bagno.

Era già passato un mese; lo sapeva con precisione; cancellava i giorni dal calendario per capire durata dell’attesa.

Le giornate trascorrevano lente, uguali. Al mattino, guardandosi allo specchio, vedeva un'immagine estranea: i capelli scoloriti, gli occhiali dalla montatura pesante la facevano apparire più vecchia.

Il viso portava gli inequivocabili segni del tumulto interiore: lunghi, profondi solchi sulla fronte, occhiaie scure, pelle arsa.

Distesa sul letto, girò lo sguardo intorno; percorse le pareti intonacate, assalite da minuscoli insetti che, inesorabili, si insinuavano dalle finestre, dalle fessure della porta. Era solita seguire i loro movimenti; si chiedeva a quale scopo o meta tendessero; poteva trascorrere ore osservandoli: un modo per liberare la mente dai detriti della paura. Il dibattersi di quelle macchioline nere costituiva la sua principale attività: rimozione dei ricordi.

Sparire nel nulla significava provocare sofferenza; eppure, fosse rimasta, ci sarebbe stato più dolore non solo per lei, ma per tutti i suoi cari.

"Bella mossa", pensò rassegnata. Un ragno aveva catturato due mosche; il loro dibattersi cessò presto: crudele; la legge della natura.

Si alzò con cautela; aprendo la porta, fu accolta dal tepore dei raggi autunnali. La sedia a dondolo era là, pronta, all'ombra di un unico arbusto sopravvissuto alla desolazione del luogo. Il dondolio la fece cadere nel torpore poi, subdola come sempre, la sentì arrivare: quella contrazione muscolare che partiva dal petto e, in pochi secondi, sferrava attacchi a tutto il corpo. Si irrigidì per non gridare; doveva svuotare la mente, ignorare quei compressori che la stritolavano.

Si concentrò sui fili d'erba calpestati e secchi, sugli operai a poche centinaia di metri intenti a costruire una nuova torre al progresso. Quegli uomini si erano incuriositi per la sua presenza.

Molti giorni prima, due di loro si erano avvicinati con una scusa; la vista di una "matura" malandata aveva demolito il loro interesse. Ora nessuno veniva a disturbarla.

Era passato! Il sangue ricominciò a circolare, la nebbia si diradò. Prese il diario e lo aprì alla stessa pagina, sempre quella con una data e le sue parole –Se te ne vai, ti cercherò e ti troverò. Non puoi sfuggirmi.-

C'era una domanda che le bombardava il cervello - "Riuscirà a trovarmi?"


Quell'isolamento le era stato suggerito, quasi imposto, dai 2 detective; era l’unico modo per poter arrestare l’uomo con il quale aveva convissuto e che lei conosceva con un nome diverso, aspetto alterato dalla barba e baffi, l’uomo che da tre anni la Polizia stava cercando per truffa aggravata e tentato omicidio della moglie.

" Sarà sorvegliata da lontano, Saremo con lei se lui si presenta e si presenterà perché lei è una testimone essenziale. Un mese o due. Lui ha i mezzi e la necessità di trovarla.”

Sembrava non ci fosse scelta e lei si era ricordata di quell’angolo sperduto.

Se non si può scegliere come vivere, si può scegliere di restare vivi.

Cominciarono le piogge. Le mancavano i suoi pomeriggi all'aperto. La stanza si fece angusta; gli insetti minacciosi e repellenti. La compressione fisica stava minando la sua resistenza. Era là da più di un mese.

 

In una tiepida mattina di novembre, raggiunse il suo pezzetto di verde, la sedia umida e scrostata.

Sentì il rombo di un veicolo avvicinarsi, dirigersi verso di lei. Con il cuore in tumulto estrasse la ricetrasmittente che i due “operai” le avevano dato e il piccolo revolver.

Con il dito appoggiato sul pulsante rosso, chiuse gli occhi.

Aspettò.

 




 La Porta---The Door

Acqua e sale hanno divorato tutto – la finestra

dove lei soleva attendere, il tetto, le pareti.

Rimangono pietre ammucchiate e una porta di quercia.

A volte la porta galleggia con lei verso il mare

con un carico di tramonto che decanta attraverso il cuore.

Pesci scivolano dentro e fuori le crepe

del suo corpo legnoso,

si sente un vago bussare

e dita d’acqua intrecciano conchiglie

sui cardini, sulla maniglia.


Lei non naviga mai lontano, non si apre mai,

aspetta che il gocciolante tramonto si asciughi

e si mescoli alla sua oscurità.    



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Water and salt have devoured everything – windows,

where she used to wait, roof, walls.

Heaps of stones and an oak door – what is left.


At times the door floats with her to the sea

with its load of sunset decanting through her heart.

Fish swim in and out the cracks – a light knocking

is heard while watery fingers weave shells

around hinges, on the handle.


It never sails far, never opens,

just waits for the dripping sunset

to dry up and melt into darkness.-                                                                             

Friday, October 28, 2022








Chess game with Clare  -- Partita a Scacchi con Clare


For My Sister

 

Mosquitos settle on my eyebrows;
I brush them away. Your violet glance
entangles my thoughts; I mutter
how to move knights.

The wind lashes tall grass,
carries the tinkling of silver bells.
Your eyes lower to the board and calculate, —
pale fingers tap at the wooden queen
– Dead!- You whisper-
– I’ll be dead before I can listen to last
cicadas as they sing their tymbal tunes –

Your dilated pupils choke violet.
Darkness grows and hides my shivers.

– Lancers are useless, no chance for pawns
No chance for me –
Your nails tap on wood.
– Good move! The queen is done.
No more games to play-

Aged stars fall into the pond;
pain sneaks through my chest and bites,
bites, bites.

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Partita a Scacchi con Clare

Zanzare si posano sulle mie sopracciglia,

le allontano. Il tuo sguardo viola

intrappola i miei pensieri; mormoro

come o se muovere il cavallo. 


Il vento sferza l'erba alta,

porta un tintinnio di campane d'argento.

I tuoi occhi si abbassano sulla scacchiera,

 le dita pallide toccano la regina

- Morta!- sussurri,

sarò morta prima d’ ascoltare le ultime

cicale e le loro martellanti melodie -


Le tue pupille dilatate soffocano il viola.

L'oscurità cresce e nasconde il mio tremito.

 - Gli alfieri sono inutili, nessuna mossa coi pedoni.

Nessuna possibilità per me -

Le tue unghie tamburellano sul legno.

- Buona mossa! La regina è persa.

Niente più giochi -


Stelle opache cadono nello stagno;

il dolore si insinua, attraversa il petto

e morde, morde, morde.

 

La Fuga


Scendeva le scale, aveva fretta, il taxi la aspettava. Stava chiudendo, finalmente, quella porta. Aveva solo un piccolo trolley, uno che poteva portare con sé in volo. Era un poco liso ma lo aveva scelto di proposito, per non attirare la sua attenzione.
Si guardò allo specchio: jeans scuri, giubbotto nero, capelli raccolti e coperti dal berretto che scendeva a metà fronte, occhiali da vista e sole: era invisibile o almeno lo sperava. Lui voleva che indossasse sempre abiti eleganti, scelti da lui, e lenti a contatto.

Dentro il taxi, aprì la cerniera esterna e sorrise vedendo la busta sigillata con biglietto per Parigi. Il fratello glielo aveva fatto pervenire tramite un amico, niente posta, niente consegne: troppo pericoloso. Lui controllava le sue ricerche in internet, il cellulare, tutto. Per parlare con il fratello usava il telefono pubblico e avevano scambiato innocui Whatsapp per non insospettire lui. Lui era partito alle sette del mattino. Prima di uscire, si era chinato su di lei e le aveva posato un bacio sulla guancia mormorando – aspettami -. Sentì un brivido lungo la schiena che portava ancora i lividi del suo volo contro la porta quando lui si era infuriato perché era rientrata tardi e la cena non era pronta. A Parigi sarebbe stata al sicuro da suo fratello. Era pronto ad accoglierla, a difenderla. Avrebbe desiderato venire a prenderla personalmente, ma ci sarebbe stato uno scontro, la violenza di suo marito non aveva limiti quando si toccava qualcosa di suo e lei era – sua – glielo ripeteva ogni giorno.

Entrò nel terminal sentendosi leggera e ottimista come non lo era da anni. Avrebbe cominciato una nuova vita, respirare senza paura, senza la paralisi mentale che anche solo la sua presenza causava. Com’era possibile cambiare in questo modo? Può una persona simpatica e affettuosa trasformarsi in mister Hyde?

Arrivata a Venezia, si era resa conto di essere in grande anticipo; entrò al bar per bere qualcosa, sorridente, leggera nei pensieri. Stava per uscire quando si sentì toccare una spalla.

“ Ha dimenticato gli occhiali alla cassa, signora.” Una ragazza in jeans e felpa le sorrise.

“Grazie. Sono una talpa senza di quelli. Posso offrirle qualcosa? È stata così gentile! È in partenza anche lei? Io vado da mio fratello a Parigi.”
“No. Io sto aspettando la mia amica che arriva da Berlino.”

Chiacchierarono per una decina di minuti; Anna non si era mai sentita così, così, quasi felice. La ragazza si chiamava Lisa, proprio come la sua amica di sempre, compagna di scuola e delle spensierate estati in giro per il mondo. Lisa che non vedeva da anni perché lui aveva deciso che era troppo libera, per niente seria e aveva una pessima influenza su di lei. Aveva rinunciato e pianto ma non aveva la forza per lottare. Lui aveva fatto terra bruciata intorno a lei; le permetteva di comunicare con il fratello solo perché viveva lontano. Non parlò alla ragazza della sua vita in quei lunghi cinque anni, non poteva; solo nominarlo avrebbe frantumato quella fragile bolla di speranza che si stava creando. Parlò di ciò che l’aspettava a Parigi, del fratello, cognata e nipoti che non vedeva da anni, dei musei, le mostre. Lisa in jeans e felpa le ricordava molto l’amica rinnegata ed anche lei, di rimando, si lasciò andare a confidenze sulla sua vita sentimentale disastrata, l’incertezza sul futuro legato al suo rapporto non ancora completamente definito con l’amica tedesca che stava aspettando. Sentì ammirazione nei suoi confronti: lei non aveva paura di affrontare le proprie ambiguità e cercava, in qualche modo di risolverle. Infine, si separarono con un abbraccio, come amiche.

Più tardi, allo sportello del check-in estrasse la busta, sollevò il lembo incollato ed tirò fuori il biglietto. L’impiegata, vedendola impallidire, le chiese se si sentisse male ma lei indietreggiò senza parlare; stringeva il biglietto contro il petto, la mente vuota. Uscì di corsa dal terminal, si appoggiò a una colonna e cominciò a dondolare avanti e indietro come comandata da una molla e poi l’odore acre di sudore le causò nausea. La gente intorno si muoveva in fretta o fingeva di non vedere ma qualcuno la notò.

Lisa e l’amica appena arrivata le si avvicinarono; Lisa la abbracciò e le chiese cosa era successo e come poteva aiutarla. Lei alzò il volto e aprì il pugno dove teneva il biglietto accartocciato: era tutto coperto d’inchiostro nero dove, in bianco, spiccavano queste parole: – Dove credi di andare, Anna? Il tuo posto è a casa! – Le due ragazze guardarono il biglietto allibite, pensando a cosa fare. Non potevano certo lasciarla sola in quello stato.

“ Puoi chiamare qualcuno che ti aiuti, Anna? Chiama suo fratello che ti starà aspettando, vedrai che lui troverà una soluzione.” Anna scuoteva il capo, piangeva e continuava a dondolare.

“Dammi il cellulare, chiamerò io tuo fratello. Per favore, lasciami fare qualcosa.”
Anna cominciò a frugare nella borsa, poi nello zainetto; impotente, si coprì il volto, poi ricominciò a cercare frenetica, lo trovò nella tasca del giubbotto. Con mani tremanti compose il numero e porse il telefono alla ragazza. Lisa si allontanò lasciando l’amica con Anna. Tornò dopo pochi minuti.

“ Tuo fratello arriverà domani mattina: ha il nostro indirizzo. Per questa notte starai da noi, sarai al sicuro. A casa non devi più tornarci.” 
Anna abbracciò le amiche; tra i singulti riuscì solo a ripetere:" Grazie, grazie, non sono più sola.".

Libera -Free





Libera --Free

Ho un cane, la bisaccia e le mie mani - Vagabondi viviamo dove ci porta la nostra pelle - 
Le nubi si sparpagliano quando il temporale spacca
il cielo e beviamo gocce e lacrime.
Non dormiamo mai sotto la stessa stella 
o sulla stessa erba, possiamo esplodere 
come onde su rocce infuocate
o dormire tra le ombre notturne delle dune - Viviamo, amiamo, lottiamo, odoriamo di fango, bacche, sudore e acqua salata siamo fatti di ossa, cuore, pelle, cotone e acciaio. Irraggiungibili e affamati di scoperta, annusiamo spazio all’orizzonte, camminiamo, ci nutriamo di domani. Ho dato al mio cane il nome di una stella e Arturo salta, abbaia e nelle notti chiare si unisce alla mia canzone con ululati che richiamano tutte le costellazioni. 


Free

I have a dog, a saddlebag and my hands – Wanderers
we live where our skin takes us -
Clouds scatter when the storm breaks the sky
and we drink drops and tears.
We never sleep under the same star or on the same grass,
can explode like waves on fiery rocks
or sleep in the night shadows of the dunes -
We live, love, fight, smell of mud, berries,
sweat and salt water
‘cause we’re made of bones, heart, skin, cotton and steel.
Unreachable and hungry for discovery, we smell space
on the horizon, walk, feed on tomorrow -
I gave my dog the name of a star and Arcturus
jumps, barks and on clear nights joins my song with howls that recall all constellations.


La Stanza Rossa


 

La Stanza Rossa


Quando Vania ricevette la lettera di Piera, non un’e-mail, proprio una lettera, busta rettangolare e foglio, accuratamente piegato in tre, di colore beige, riconobbe subito la scrittura tondeggiante e aggraziata della sua ex amica.

Ex amica da quando Toni aveva rotto la loro relazione e sposato Vania.

Piera non era rimasta a guardare la loro felicità, aveva lasciato Venezia per una lunga permanenza negli Stati Uniti: nessuna notizia in quasi due anni.

Vania cominciò a leggere con curiosità e speranza; forse l’amica aveva superato la rabbia, il rancore e voleva riallacciare la loro amicizia.

Ricordava le loro prime uscite di notte scavalcando le finestre per percorrere le calli deserte e raggiungere il Ponte di Rialto dove, sedute sui gradini fumavano e aspettavano i compagni del Liceo sempre forniti di alcolici. Poi le prime cotte, lo scambio delle esperienze. Non avevano segreti. Entrambe si erano iscritte a Lingue e, dopo la laurea, Piera aveva incontrato Toni e parlava all’amica dei loro progetti per un futuro imminente.

Una forte attrazione aveva cancellato timori, rimorso, sensi di colpa. Era successo e basta.

Toni e Vania avevano cercato di dare spiegazioni a Piera, ma la smorfia di dolore e disgusto e le accuse sputate da labbra livide avevano cancellato tutto il passato.


– Credo sia arrivato il momento di incontrarci e di ricucire, per quanto possibile, un’amicizia che ci ha legate per tanti anni. Sono a Venezia; vorrei tu venissi a cena da me. Telefonami per prendere accordi. –

Firma e numero di telefono.

Era un messaggio conciso e freddino, ma pur sempre un riavvicinamento.


Vania sospirò; un sospiro profondo che la fece sentire più leggera. Era quello che aveva sperato a lungo: una riconciliazione. Telefonò immediatamente e presero accordi per il sabato successivo. Sentire la voce musicale di Piera, le sue parole, la sua risata gorgogliante le riportarono la Piera di sempre, la sua amica.

Quella sera Vania indossò tubino e sandali neri. Un abbigliamento semplice ed elegante come i gusti di Piera. La padrona di casa era impeccabile in un lungo vestito verde acqua e bellissima. I lunghi capelli neri le incorniciavano l’ovale perfetto, gli occhi color ambra luminosi e penetranti e le labbra carnose dischiuse in un sorriso che metteva in risalto le fossette sulle guance.

Si abbracciarono. La commozione era intensa come il desiderio di piangere di Vania, pianto di gioia e liberazione dalla cupezza della colpa che non l’aveva mai lasciata.

“Mi spiace che Toni non sia presente. Mi hai detto che è in viaggio.”

“Sì, è a Milano tornerà la settimana prossima. C’è qualcuno nella tua vita, Piera?” Era una domanda naturale tra amiche.

“Più di qualcuno, ” rispose ridendo, “ma niente d’impegnativo. Devo pensare alla mia carriera, poi si vedrà.”


Dopo la cena raffinata e scambio di ricordi divertenti, Piera le disse che voleva mostrarle la sua stanza segreta dove si rifugiava a leggere o scrivere. Era parte della casa ma separata da un pianerottolo e una scala. In passato doveva essere stata una cantina: muri spessi e un’unica finestra sulla laguna.

La prese sottobraccio e scesero i pochi gradini che portavano al – rifugio – di Piera. C’erano tre lampade di Murano, rosse, che diffondevano una luce rosata come gli ultimi sospiri del tramonto. Il

silenzio cullato dallo sciabordio dell’acqua.

“ Bellissima, Piera. Con queste luci e il sottofondo musicale della laguna, sembra una grotta incantata, ideale per lavorare.”

“Di solito la stanza è più fresca ma quest’ondata di caldo africano s’insinua ovunque. È anche un luogo di meditazione per me… Che sbadata! Ho dimenticato di portare qualcosa da bere. Torno subito, Vania, tu intanto guardati intorno, goditi l’atmosfera.”

Vania, nell’attesa, guardò lo scaffale pieno di libri, si affacciò alla finestra, ma la puntura di una zanzara la fece desistere. Tornò ai libri e vide un album di fotografie. Cominciò a sfogliarlo e già dalle prime pagine la colse un malessere, un senso di nausea: tutte le fotografie risalivano a due, tre anni prima, immagini di Piera e Toni, Toni e Piera in luoghi diversi, ma sempre in atteggiamenti amorosi. Si rese conto che in qualche foto avrebbe dovuto esserci anche lei, ma quelle foto erano state tagliate, lei, Vania, era stata eliminata. Ritrasse le dita e rimise l’album sullo scaffale chiedendosi quale fosse il vero intento dell’invito e della visita a quella stanza.


Passarono diversi minuti, Piera non tornava. Vania si sedette in poltrona ma le zanzare non le davano tregua: il viso, il collo, le braccia. Le schiacciava e tracce di sangue rimanevano sulle dita, sulle braccia.

Cominciò a respirare con fatica. Doveva chiudere la finestra, ma i vetri erano bloccati ai lati. Chiamò ancora Piera ma non ricevette alcuna risposta. Corse alla porta per uscire da quella prigione; con sgomento si rese conto che era chiusa a chiave. Batté i pugni sul legno, invocò Piera di farla uscire. Solo silenzio e il battito del cuore che rombava negli orecchi.

Lei era preda facile per le zanzare; era allergica e si premuniva con spray repellenti ma non quella sera. Si era documentata su questo nemico estivo: l’anidride carbonica le attirava e lei ne stava emettendo in quantità con la sua respirazione affannata. Cercò di controllarsi. Doveva pensare, calmarsi, chiamare ancora Piera. Aveva letto che le zanzare sono attirate dal nero e dal rosso. Perfetto! Il suo vestito nero, le lampade rosse. Cercò l’interruttore le spense, ma c’era ancora luce che entrava dalla finestra spalancata e il suo vestito nero era una calamita.

Il respiro si fece ancora più affannato, ora la paura scuoteva il suo corpo come percorso da scosse, mentre con gesti frenetici continuava a schiacciare le aggressive nemiche, a grattarsi le bolle che si formavano. Le sentiva tra i capelli nelle narici, sugli occhi, Si mise a gridare, ma il silenzio era rotto solo dalle sue grida. Aveva bisogno di un medico subito, una corsa al Pronto Soccorso.

Piera sapeva della sua allergia, sapeva che era vittima designata delle zanzare, sapeva che non avrebbe resistito a un attacco studiato da lei in tutti i particolari. Il cuore era impazzito, lei annaspava in cerca d’aria. Non c’era più stanza, solo zanzare e le parve di sentire in lontananza una risata rauca e gorgogliante, poi il ronzio insistente, continuo, ossessivo, poi niente.