Jeanine aprì gli occhi e si guardò intorno, con fatica perché il minimo gesto le causava dolori insopportabili come le sue ossa fossero frantumate. Un odore acre le pungeva le narici facendola lacrimare.
Doveva muoversi, uscire da quella stanza cupa, con una sola finestra; il gocciolare lento ma insistente lungo le pareti scrostate la fece rabbrividire. Le vesti umide le riempirono le narici di un odore che conosceva, il profumo di aghi di pino, ma lei non era in un bosco, era in una stanza tappezzata di dipinti.
Poi un ricordo s’insinuò tra le fitte di dolore. Si era rivolta all’amico Jakub; aveva bisogno di denaro per scappare lontano dal marito che, giorno dopo giorno, la puniva con pugni e calci. Non poteva più restare, l’intensificarsi della violenza era presagio di morte.
Jakub era disposto ad aiutarla; le avrebbe dato i soldi per fuggire, doveva solo posare per un quadro.
Dove sei amico mio? Perché mi hai lasciata sola? Cercò di alzarsi. Con movimenti cauti e stringendo denti e volontà, si mise in ginocchio e lentamente in piedi. Cercò le scarpe, ma non riuscì a vederle in alcun angolo. Il cuore pulsava in gola; doveva uscire prima che il terrore la paralizzasse. Non aveva niente per coprirsi, ma l’urgenza era fuggire. Un rumore di tuono la fermò come accadeva con i boati del marito infuriato. Doveva andarsene, subito.
Spalancò la porta e, tenendosi al corrimano, scese le scale trattenendo i gemiti di dolore che ogni passo le causava.
Riconobbe la viuzza dove c’era lo studio di Jakub, un vicolo stretto e deserto con pietre sconnesse e pozze d’acqua. Sentì una forte spinta alla schiena, inciampò e cadde sbattendo la testa con violenza. Invocò Jakub. Sentì il sangue scorrerle lungo viso e gocciolare sul selciato, poi il nulla.
Jakub si svegliò di soprassalto. Per qualche secondo non riconobbe il posto e il momento, poi gli tornarono alla mente le immagini di Jeanine, morta, nel vicolo. Con lentezza volse lo sguardo verso il cavalletto dove aveva lasciato la tela quasi completata. Dapprima, con orrore, vide solo una tela bianca; quando i battiti del cuore rallentarono e gli occhi si liberarono dalle visioni dell’incubo, la vide, la sua modella, mancavano pochi dettagli e il lavoro sarebbe stato perfetto. Lo avrebbe chiamato –Fuga dal Futuro –
Un lieve bussare gli causò un sussulto. Sulla soglia c’era Jeanine in cappotto, cappello e borsa.
“Sono pronta. Un’amica mi porterà in un posto sicuro. Il quadro è così realistico che m’incute terrore, perché è così che finirei senza il tuo aiuto, Jakub.”
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